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La dipendenza affettiva e l'effetto 'sindrome di Stoccolma': quando si ama il proprio carnefice

La condizione paradossale di‘amare’i propri carnefici appartiene ai sintomi della dipendenza affettiva correlata al trauma da narcisismo in etàadulta

La dipendenza affettiva e leffetto sindrome di Stoccolma quando si ama il proprio carnefice

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Ti ha tradito, ti ha offeso e ti ha umiliato. Ti ha lasciato, ti ha mentito o ti ha abbandonato da un giorno all’altro senza spiegazioni. Ha usato il sesso come uno strumento di ricatto e centellinato le parole come elemosine per soggiogarti.

Ha indebolito la tua autostima e condizionato la tua vita nel perimetro claustrofobico del lutto, della perdita e della disperazione di non averlo/a mai più e, malgrado gli abusi psicologici di cui potresti esserti accorta/o tardivamente, alla fine della storia continui ad amare il tuo aguzzino (o la tua aguzzina).

Tutto è insapore, tranne la sua immagine e i ricordi della tua carcerazione, vividi e pulsanti di un’assurda nostalgia. Rimpiangi il sequestro, l’abulia, la violenza anche se tutti di dicono che ora sei salva/o e dovresti gioire del tuo rilascio, anche se hai pagato un riscatto altissimo. Questa ‘libertà’ è valsa tutte le tue lacrime, mesi e mesi d’insonnia, di abulia e di disperazione ... ma rinunceresti ad averla se solo lui o lei tornassero.

La condizione paradossale di ‘amare’ i propri carnefici appartiene al corteo di sintomi della dipendenza affettiva correlata al trauma da narcisismo in età adulta. La spinta affettiva irrazionale e irriducibile verso chi abusa, maltratta, trascura è stata individuata in ambito criminologico col nome di Sindrome di Stoccolma nel 1973 per descrivere l’attaccamento emotivo verso i propri rapitori di un gruppo di impiegati di banca rimasti ostaggi per giorni durante una rapina.

La sindrome di Stoccolma è caratterizzata dall’inclinazione delle vittime a empatizzare con l’aggressore, a giustificarlo e difenderlo e a desiderare di mantenere un contatti nonostante i soprusi subiti e malgrado la liberazione. Sul piano della logica questa sindrome appare insensata e incomprensibile, perciò richiede un esame psico-logico che prenda in considerazione le difese più arcaiche della psiche rispetto al trauma. 

Ogni minaccia all’integrità è percepita come inspiegabile dall’individuo che la subisce innesca risposte automatiche finalizzate a conservare quel che resta dell’integrità offesa. Tra queste, nella Sindrome di Stoccolma come nella dipendenza affettiva, spiccano la negazione e l’identificazione con l’aggressore.

La negazione è il meccanismo della mente che cerca di opporsi alla realtà emotivamente disturbante negandone l’esistenza. Accade quando la vittima non vuole credere alla brutalità del carnefice e, per salvarsi, ricerca significati sentimentali nel suo agire per inventarsi una speranza di salvazione in una violenza altrimenti accecante e potenzialmente mortale. 

L’identificazione con l’aggressore, concettualizzata da Freud, è la misura di difesa psichica di ogni vittima sottoposta allo stress grave e imprevedibile dato dall’irragionevolezza del carnefice: ci si identifica con lui, si cerca di diventare come lui e si collabora nella crudeltà nella speranza più o meno cosciente che la percezione di essere simili possa diminuire gli abusi. 

La Sindrome di Stoccolma non è una categoria del DSM, il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali, tuttavia descrive una condizione patologica frequente nei casi di sequestro e/o abuso emotivo, fisico e sessuale. Allo stesso modo, la dipendenza affettiva correlata al trauma da narcisismo non è riconosciuta dai manuali diagnostici, eppure si evidenzia drammaticamente nella pratica clinica. 

Come nella Sindrome di Stoccolma le vittime ostacolano il lavoro degli investigatori con atteggiamenti negativi e reticenti verso le forze dell’ordine, cosi le persone coinvolte nel trauma da narcisismo tendono a opporsi, più o meno consciamente, all’aiuto di familiari e amici e, talvolta, anche a quello dei terapeuti spinte dal timore irrazionale di essere salvate e quindi sottratte all’influenza mortifera del loro amante e aguzzino. 

Il risultato è il progressivo isolamento sociale a cui conseguono l’aggravarsi della dipendenza psicologica e, proporzionalmente, il potere del partner che può tiranneggiare indisturbato una volta alienate altre figure di attaccamento intorno alla vittima. Il quadro è quello di un sequestro simbolico, un sequestro senza catene, né armi, né prigioni visibili, ma non per questo meno traumatizzante dei fatti correlati alla Sindrome di Stoccolma.

Infatti, i quadri clinici di disturbi apparentemente cosi differenti presentano forti analogie e suggeriscono che da un punto di vista psicologico la violenza del funzionamento narcisistico patologico è assimilabile al rapimento, agli effetti di azioni criminali come la molestia, la coercizione della libertà e l’abuso fisico o sessuale.

La condizione delle vittime del trauma relazionale in età adulta è purtroppo sottovalutata o travisata come il frutto di psicopatologie pregresse, shock infantili e responsabilità soggettive. A differenza dei soggetti che subiscono l’ingiustizia di un sequestro reale, chi è reduce da un sequestro psicologico non può contare sulla pronta assistenza del sistema sanitario o, nei casi più gravi, sulla protezione delle autorità preposte. 

È importante riflettere sull’effetto “sindrome di Stoccolma” sulle persone catturate e bloccate in relazioni disfunzionali, informare e sensibilizzare sul tema urgente dell’alfabetizzazione emotiva. Infatti, situazioni di disagio psicologico correlate alla vita di coppia sono un problema inerente alla salute pubblica e, se non riconosciuti né trattati adeguatamente, ricadono sul sistema sanitario e sulla società sotto forma di depressione, ansia, somatizzazioni ecc., e comportano implicazioni negative ad ogni livello: lavoro, figli, famiglia, società.

02/02/2022